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Nel lontano 2007, io e un altro mio amico decidemmo di aprire un blog che fosse un po’ diverso dagli altri –qualcosa che a metà tra un forum, una community e una chat di gruppo (e che in qualche modo anticipò gli scambi sui social network).

Nacque così l’Hotel Morgana, luogo virtuale ma anche estremamente reale, non solo perchè ne esiste davvero uno (che mi ha ispirato una poesia, che dà a sua volta il titolo al blog), ma perchè sul Morgana le persone potevano conoscersi, scambiarsi impressioni, mandarsi a quel paese, ignorarsi o collaborare.

L’Hotel Morgana è un albergo di quelli a ore, come si usava un tempo, dove ognuno può prendere una stanza o fermarsi nel bar giusto il tempo di un mojito.
Dal 2007 ad oggi, più di 35 persone si sono fermate qui a raccontare la propria storia, a discutere di temi profondi o immense frescacce, a farsi forza o aspettare insieme l’alba.
Da tempo ho una stanza al Morgana, con il balcone puntato verso il mare e le pareti arrostite dal sole –e tra quelle pareti ho raccontato le prime storie di “Latinoaustraliana”, condiviso le poesie che sarebbero finite su “Rivoluzione”, scritto recensioni, e in generale ho trovato sempre un punto di riferimento a prescindere dalle distanze geografiche.

Anche se lo ignorate, c’è sempre una stanza che vi aspetta all’Hotel Morgana.

Non dimenticate una cosa, però: il minibar si paga a parte.

Benvenuti all’Hotel.

Questa mattina sono uscito in giardino ed era lì. Il cielo basso, costretto da nuvole grigie in uno spazio senza respiro, nuvole frustate da un vento adatto a spingere galeoni alla scoperta del mondo e a farci sentire nudi, infreddoliti, nella nostra vita dove tutto ormai è stato scoperto, conquistato e infine rovinato. L’inverno è arrivato anche qui, in questa parte di mondo al contrario. Lo aspettavamo, e ne siamo sempre sorpresi. Non io, però, non stavolta. Quando l’inverno te lo porti appresso, in una serie di momenti e umori...

Ogni tanto, quando incontro qualcuno che ha letto il mio “Latinoaustraliana” –un fenomeno a metà tra gli unicorni e la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno- capita che mi chiedano: oggi lo riscriveresti nello stesso modo? Che domande, verrebbe da dire. Chiaro che uno scrittore cresce, cambia, si evolve, si fissa, impara, dimentica, si trova o si perde. "Latinoaustraliana" è stato scritto tra il 2008 e il 2010, quindi sono passati sette anni. Un autore non dovrebbe ripetersi mai, dovrebbe mirare a crescere, bla bla bla. Forse dovrei dire tutte queste...

  se non è la stanchezza è la macchina che non parte se non è la macchina sono i casini con la tua donna se non è la tua donna è l’eccesso di lavoro o la mancanza di lavoro o il lavoro se non è il lavoro è l’otturazione ai denti da rifare o quella strana macchia che ti devi ancora far controllare se non è la macchia sono le telefonate che devi ancora fare se non sono le telefonate è il mal di vivere che provi a curare quando tutto intorno è notte se non è il mal di vivere sono mille pensieri quotidiani come una nuvola spezzettata in tanti piccoli, ostinati temporali che...

  Premessa necessaria: a settembre saranno dieci anni dal mio arrivo in Australia. Nessuno mi ci ha costretto nè tantomeno mandato. Sarei potuto tornare indietro in qualunque momento –come in effetti ho realmente fatto, ad un certo punto. Ho passato la fase della luna di miele con Oz, quella della nostalgia struggente del Belpaese, quella della repulsione italica e quello dell’insofferenza australiana. Alla fine ho raggiunto un mio equilibrio. Come dice Paul Valery: “Mi sono amato, mi sono odiato, e poi siamo invecchiati insieme”. Non passo il tempo sui gruppi Facebook...

(L'O.P.G. -Ospedale Psichiatrico Giudiziario- aveva preso il posto degli antichi Manicomi Criminali. NdA)   Avevamo tutti una famiglia, bella o brutta. Avevamo degli amici. Qualcuno di noi aveva anche un amore. Una volta superato quel cancello non avevamo più niente, esattamente come tutti gli altri. Natale era il periodo che ricordo meglio. C’era spesso il sole. A volte sembrava quasi primavera, ma poi l’inverno tornava bruscamente a riempire di gelo le stanze piene di polvere e i vialetti del cortile. Partivo da casa e facevo apposta una lunga deviazione per poter vedere il...

Quando avevo 16 anni, i miei genitori mi fecero per Natale due regali particolarmente azzeccati. Il primo era una giacca di velluto nera molto scicchettosa (negli anni ’90 bastava poco per essere scicchettosi). Il secondo fu un libro. “Senza perdere la tenerezza”di Paco Ignacio Taibo II era una biografia iperdocumentata ed esaustiva (fin troppo) di Ernesto Guevara, detto il Che. Ogni tanto penso che questo fosse il regalo più sbagliato che potevano farmi, considerata la mia confusione totale di allora (su qualunque argomento, in qualunque direzione), e i rischi legati...

  Non so se ci avete fatto caso, ma ogni volta che siamo a terra e qualcuno ci chiede come va –qualcuno a cui frega davvero, s’intende- rispondiamo sempre: così. C’è un implicito dietro quella singola parola, unita all’incertezza tra il voler dire e il lasciar perdere e parlare d’altro. E’ strano come riusciamo a definire tutto, ad avere una parola pronta per ogni situazione e stato d’animo, perfino un emoji che possa esprimere al volo o chiarificare il tono, ma quando si tratta di descrivere come ci sentiamo...

Anni e anni fa, mi capitava questa cosa. Succedeva dopo una serata fuori con gli amici. A quel tempo vivevo nella casa al mare, nel mio paesino Bucodiculo. Insomma, arrivavo davanti casa che erano già le due o le tre di notte, mettevo la freccia per girare, poi all’ultimo momento ci ripensavo e tiravo dritto. Non so perchè lo facevo. Ricordavo nitidamente di essermi messo in macchina stanco, assonnato. Mentre tiravo dritto, però, la stanchezza era scomparsa. Sapevo anzi che, se fossi andato a letto in quel momento, non...

Dopo 3 mesi passati fuori, non appena arrivo all’aeroporto, supero gli agenti terrificanti e gentili, trascino il mio bagaglio fino all’auto nell’alba accartocciata e mi infilo nel traffico insonnolito, penso subito: Sydney, mi sei mancata. Mi è mancato il tuo traffico perfettamente incolonnato, giudiziosamente in attesa, quell’aria di santità che piomba su tutti noi in coda mentre radio show rumorosi esalano gag e rumori e canzoni che non dureranno fino alla meta, sentendoci santi al punto tale che puniremo mentalmente chiunque oserà trasgredire anche per sbaglio anche per un...

    Un giorno qualsiasi. Estate. Terza settimana. Le apro lo sportello e poi la aiuto a infilarsi dentro la macchina, resa irrespirabile dall’afa, dopodichè partiamo. Non ci diciamo molto, ma per me è normale non parlare appena sveglio. Nonostante tutto, nella strada verso l’ospedale sono io che parlo. Le chiedo se vuole un sorso d’acqua, se l’aria condizionata le dà fastidio. Lei annuisce o scuote la testa. La radio che lei mette in sottofondo, con le sue canzoni già scadute e i discorsi sui rientri e sul bisogno di vacanza, pur...