La valigia (racconto)

 

Se la stava prendendo comoda, come sempre. Aveva ancora da fare la valigia, ma questo non era un problema.
Passò il pomeriggio a guardare la televisione senza realmente vederla, intento con diverse parti della testa a pensare alla partenza, alle cose da portare, a quelle di cui poteva fare a meno. Altro canale. Al fastidio di viaggiare la notte, al sonno perso, alla cena da fare in fretta o evitare. Altro canale. Al ricordarsi di chiudere acqua, luce e gas. Altro canale. Altro canale.
Alla fine spense la televisione e si mise semplicemente a fissare il soffitto. Era già stanco ancora prima di partire.
Dopo un po’ si stufò di fissare il soffitto e si alzò per guardare fuori dalla finestra. La strada. Le facce. Gli ingorghi. Le luci accese in quel pomeriggio nuvoloso di fine gennaio. Sembrava già sera inoltrata e invece erano soltanto le sei. Cominciò persino a cadere qualche goccia. Era troppo. Tornò al divano, accese la televisione e rimase a guardarla finchè non si addormentò.

Quando si svegliò la televisione era sintonizzata su qualche canale, e s’erano già fatte le sette. Merda!, sospirò. Balzò in piedi così velocemente che perse l’equilibrio e ricadde sul divano. Da lì, sprofondato, intravide il buio sempre più fitto fuori. Doveva aver piovuto forte mentre dormiva. L’umido e il freddo erano dappertutto. Proprio il tempo con cui non si sarebbe mai mosso di casa, eppure doveva partire proprio quella sera. Non che fosse cambiato molto, se non fosse piovuto. Aveva pochissima voglia di partire, e allo stesso tempo sapeva che era l’unica cosa che gli restava da fare. Sbadigliò. Si alzò e andò a farsi un caffè.

Si concesse con calma quel caffè, e poi si lanciò a preparare la valigia. Per prima cosa, dovette tirarla fuori dallo sgabuzzino. Era stracolmo. Dovette tirarla fuori a strattoni, tra una pioggia di calendari già segnati e lucine intermittenti che cadevano, fogli ingialliti e vestiti che sapevano di muffa. Guardò la sua valigia, vecchia e impolverata. Non si era mai reso conto di quanto fosse grande. Accese di nuovo la televisione nella sua stanza, per farsi compagnia, e cominciò a preparare la valigia.

L’aveva già fatto altre volte, molte altre volte. Eppure quel pomeriggio gli riuscì tutto difficile. In più s’era messo da solo una fretta folle, senza motivo. Cominciò ad aprire armadi e cassetti, a tirare fuori maglioni e camicie e mutande. Ogni tanto inciampava in qualcosa e mandava fuori una sonora bestemmia che si spegneva a livello del lampadario pieno di ragnatele. Cominciò ad innervosirsi. Spense la televisione, poi la riaccese. Sembrava che ogni indumento che avesse fatto entrare in quella pur grande valigia sarebbe stato determinante –come se fosse questione di vita o di morte, o giù di lì.

Passò un’ora, e ancora c’era ben poco nella valigia. Si asciugò il sudore che gli colava dalla fronte. Decise di prendersi una pausa da quella furia isterica. Andò in cucina, si aprì una birra, la versò nel suo boccale, poi tornò nella sua stanza. Si distese sul divano a guardare la televisione e a bere, mentre da fuori arrivavano i rumori del traffico.

Finita la birra, spense la televisione. La valigia era sul letto, aperta. Vederla così gli metteva una strana ansia. Qualcosa però lo teneva inchiodato al divano. Era sempre più sera là fuori, ma lui si sentiva come in un’altra dimensione. Si alzò e, tanto per far qualcosa, andò ad accendere una candela che aveva infilato tempo fa nel collo di una vecchia bottiglia di whisky. Guardò un po’ la fiamma che ardeva nel buio della stanza, illuminando debolmente lui, il divano, la televisione e la sua valigia aperta.

Si stava quasi riaddormentando, quando di colpo si rese conto che il tempo stava passando. Scattò in piedi, accese la luce e ricominciò a correre avanti e indietro, a prendere vestiti, a scartarli, a gettarli via –e poi libri, un quaderno, qualche maglietta, e non sarebbe stato meglio farsi anche qualche panino?
Centrato. Il dubbio sul panino lo stordì. Cosa doveva fare? Poteva farne a meno, certo. Oppure no?
Tornò in cucina, si aprì un’altra birra, se la versò nel boccale e tornò al divano. Per fortuna il telecomando era nei paraggi.

Di nuovo finì la birra, di nuovo spense la televisione. Di nuovo si ritrovò a fissare la candela accesa in totale abbandono. Stavolta a scuoterlo fu una folata di vento ch’entrò dalla finestra che aveva dimenticato aperta e spense la candela. Quel buio istantaneo lo scosse come una doccia gelata. Corse ad accendere la luce, poi si precipitò di nuovo da tutte le parti. Sudò, bestemmiò, ma alla fine la valigia era pronta. La guardò qualche istante, soddisfatto.
Era pronto per partire.

Stava seduto sul divano, a non far niente se non guardare di tanto in tanto l’orologio. Adesso la sera fuori si era fatta meno chiassosa. La gente era tornata a casa. La giornata era finita per tutti.
Non aveva più molta voglia di partire, ora, ma sapeva che doveva farlo. Quel viaggio era proprio quel che ci voleva. Se lo ripetè diverse volte, poi si alzò e, tanto per fare qualcosa, aprì la valigia. Gli sembrò piena di cose inutili. Tolse via un maglione e un paio di magliette, poi tornò a sedersi. Si accese una sigaretta. La fumò guardando la televisione. Non c’era granchè. Dopo un po’ si alzò nuovamente, tornò a controllare la valigia e gli sembrò di nuovo troppo piena. Stavolta tolse via un altro maglione, un paio di libri e qualche mutanda. Ecco, così era meglio. Gl’era tornata la voglia di partire. Non vedeva l’ora. Tornò a sedersi.

Andò a versarsi un bicchiere di vodka allungata con succo d’arancia. La bevve mentre guardava fuori. Non c’era quasi più nessuno per strada. Cominciò a pensare alla stazione, al rumore del treno che arriva. A quelli che partono. Alla gente che saluta. A quella che va via. La folla che aspetta gli orari. I ritardi. I binari. L’odore vago di piscio. Le pensiline rotte. Bevve un altro sorso. Poi, tornò a sedersi sul divano.

La sera là fuori sembrava sempre più lontana. Non guardava neanche più la televisione. Se ne stava nel silenzio della stanza, a bere e ad aspettare. Faceva molto freddo. Si rese conto come in un sogno che la candela s’era spenta, così si alzò per accenderla. La fissò per un po’, stupito e annoiato. La valigia era nel letto, completamente vuota. A poco a poco aveva tolto tutto. Alla fine, aveva deciso che non voleva portarsi dietro niente di quel che aveva –non per quel viaggio. Se la sarebbe cavata come poteva. Gli piaceva l’idea di viaggiare senza valigia. Si sentiva molto più leggero. Libero, quasi.
E quello in fondo era un viaggio da fare quasi nudi.
Accese un’altra sigaretta, e aspettò.

Fuori non si sentiva più un rumore. Era ora che uscisse. Si alzò, andò a pisciare e poi cominciò a sistemarsi. Prese lo spazzolino. Controllò la giacca. Era tutto in ordine. Chiuse acqua, gas e luce. Si mosse a tentoni verso la porta, mise la mano sulla maniglia, ma ci ripensò. Accese di nuovo la luce, tornò in cucina e si fece un’altra vodka e arancia. Tornò nella sua stanza, si accese una sigaretta e bevve il suo drink.

Beveva e guardava la candela. Spense l’ennesima sigaretta.
Restò lì, nella stanza vuota e in penombra, con la valigia vuota sul letto e la luce della candela che ardeva mentre fuori il buio era sempre più fitto. Sospirò, ben sapendo che non c’era mai stato nessun posto in cui andare.
Fissò la candela ancora un po’.

 

Marco Zangari © 2005
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