Il Natale in Australia

 

A casa ci preparammo per la serata. Non avevo buon feeling col cenone della vigilia. Mi era sempre sembrato la forma di tortura più assurda, costosa e masochista che ci fossimo inventati per le feste.
In Australia, scoprii, ognuno faceva quel che cazzo gli pareva. I ragazzi se ne andavano nei pub – che per l’occasione organizzavano mega feste alcoliche. I genitori restavano a sbronzarsi a casa.
Ah, lo spirito natalizio.

Io, Skye e Valerio andammo al Salty Hotel. Era l’evento più grande di tutta la zona. Si diceva che arrivavano ad esserci più di 5000 persone. Tutte le strade intorno venivano chiuse. Non si ballava, non si cantava, non c’erano giochi: si beveva e basta.
Arrivammo lì intorno alle 7. Entrammo e cominciammo a scolarci la prima caraffa di Carlton per adeguarci all’ambiente. Tutti quelli che incontravamo erano già andati da un pezzo. C’erano postazioni bar ovunque.
Sembra il Natale all’Oktoberfest” faceva Valerio. “Mi piace”
Incontrammo gli amici di Skye. Più tardi non distinguevamo più tra chi erano amici e chi erano estranei, e stringevamo mani a chiunque.
“Ma sono tutte bone!” ripeteva Valerio guardando le aussie.
“Non dirmi che non ti avevo avvertito”
Le ragazze più belle ci passavano davanti nei loro abiti corti, nei vestiti a confetto all’inglese, nelle code di cavallo sudate e nelle mini strette strette. Era una parata, un carnevale per gli occhi e la gola, e Valerio beveva nei due sensi e poi parlava con tutti e sorrideva. C’era una bella carica in giro.

Bevemmo finché restarono soldi nel portafogli, poi cominciammo piano a uscire. La gente pisciava per strada, le macchine passavano e suonavano. Dovevamo andare a casa di Skye per passare la notte. Era un bel pezzo di strada. La facemmo a piedi, barcollando, abbracciandoci, cantando stupide canzoncine natalizie alla luna. Ci fermammo per fare una pisciata collettiva in un parco, con la paura che un serpente ci mordesse il coso. Ridevamo tanto che pisciavamo a spruzzo. Perché mai tutto il mondo non festeggiava all’australiana? Ci sarebbero state meno liti e discussioni, momenti imbarazzanti, recriminazioni, conti in sospeso e noia. Se poi uno era proprio masochista, che cavolo, restava sempre il Santo Natale.

 

NATALE DOWN UNDER

 

Fui svegliato poche ore dopo. Guardai il telefonino e vidi che erano le sette.
“Ma che cazzo…”
“È la tradizione” disse Skye. “Mia sorella Lucy vuole aprire i regali presto”
“Gesù” sospirò la mia mente. Mi alzai con un malditesta da fine del mondo. Era come se le forze oscure del Natale si fossero manifestate nel mio cranio tutte insieme.
In cucina trovai Valerio con la mia stessa espressione. Stava bevendo un caffè.
“Fattene uno anche tu” disse con voce da oltretomba.
Con le nostre tazze nere andammo in salotto. Lì Carol aveva preparato un albero di Natale di quelli che piacciono a me, vivo e colorato. Sotto c’era una tempesta di regali come se ne vedono in televisione. Fred sedeva in poltrona. Aveva lo sguardo distrutto ma allegro.
“Hello Mattia! Hello Valerio!” urlò appena ci vide.
“Salve Fred”
“Viva Italia!” cantò come faceva sempre. Valerio si mise a ridere.
Si cominciarono ad aprire i regali. Io bevevo il mio caffè sentendomi un intruso nella vita intima di qualcun altro. Carol era una perfetta padrona di casa. Nonostante facesse il turno di notte all’ospedale come infermiera, riusciva a trovare sempre il tempo. Aveva comprato regali per i figli, per il marito, persino per me e Valerio. In un pacco c’erano delle confezioni da sei di birra. La guardai.
“Già per questo, Carol, potrei preferire la madre alla figlia”
Più tardi cominciarono ad arrivare i parenti. Tutti erano ansiosi di conoscermi. I nonni, soprattutto. Avevo saputo che il nonno non amava granché gli italiani. Non appena mi vide, mi squadrò in silenzio. Gli altri ci fissavano.
“Beh, ha solo una testa invece di due” disse alla fine. “È già un inizio”. Poi scoppiò a ridere. Gli altri lo seguirono. I drink iniziarono a girare nuovamente. Fred aveva fatto venire la cavalleria. Allineate nella veranda c’erano casse e casse ripiene di bottiglie di ogni tipo, immerse nel ghiaccio. Se provavi a lasciare una birra e svignartela, c’era subito qualcuno che te la riportava.
“Mattia, hai dimenticato questo!”

Tutti camminavano a piedi nudi e pantaloncini e barcollavano sempre più vistosamente. Alcuni si buttarono in piscina, io preferii restare a bere in veranda.
“Quindi lei ha combattuto nella Seconda Guerra…” attaccavo col nonno.
“COSA?”
“Dicevo: lei ha combattuto nella Seconda Guerra Mondiale…”
“CHE?”
“Mattia, ehi” disse Skye in italiano. “Il nonno non ci sente bene. Devi parlare forte.”
“LEI HA COMBATTUTO NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, NON È VERO?”
“NO, MAI STATO IN ITALIA”
“OK. BUON NATALE”
“GRAZIE, HO IL MIO DRINK. MA GRAZIE, EH!”
Le conversazioni con gli altri, comunque, non erano molto diverse.

Carol si dava da fare col cibo. Fred tagliava il tacchino mentre il padre di Carol lo osservava.
“Attento Fred, stai andando troppo all’osso… quella parte è asciutta…”
Fred sudava e bestemmiava. Io di nascosto rubavo fette di prosciutto al forno e intingevo nachos nelle salsine.
“Mattia! Dimmi dell’Italia! Dimmi della tua famiglia! Oh, ma non è bellissimo?” urlava la nonna, Lynne, prendendomi la testa tra le mani e girandomela da tutte le parti.
“Cosa pensi del Natale in Australia, tesoro?”
“Con tutto questo alcol, spero di ricordarmene qualcosa”
“OH OH OH!” cominciò lei. Rideva in una maniera che riempiva la stanza. Una donna molto di classe. Maglioncino nero a collo alto, occhiali firmati. Carol aveva preso da lei.

Ci sedemmo a tavola. Per quel momento, eravamo già strafatti. Valerio sorrideva a tutti e parlava con dieci persone contemporaneamente.
Fred aveva preso queste ostriche strepitose. Forse era l’idea stessa che te ne stavi lì a buttare giù un’ostrica da 2 dollari l’una e la innaffiavi con del buon vino bianco. Un’idea di lusso. C’erano anche gamberi, tacchino, prosciutto. Tutto era servito freddo. Ammazzava un po’ il sapore, ma con 40 gradi probabilmente uno ci pensava di meno, a questi dilemmi culinari.
Fred faceva stappare una bottiglia di vino dietro l’altra. La cena non aveva una vera fine, era più che altro una gara ad esclusione. Poco a poco ognuno si alzava e si andava a sdraiare su un divano o se ne andava a casa, se ne era ancora in grado. Fred fu uno dei primi a crollare. Fece in tempo a dirmi di aprirne un’altra e poi si addormentò sulla sedia. Io fui preso in mezzo tra Carol e la madre.
“Mattia, devi assaggiare la pavlova della mamma. È la migliore che puoi trovare”
Mi misero davanti un piatto con frutta tropicale spalmata di passion fruit, meringhe e crema. Spazzolai tutto e chiesi il bis, sotto gli occhi sognanti di mamma e nonna.
Stavamo bevendo dalle prime ore del pomeriggio. Valerio scomparve intorno alla mezzanotte. La tavola ormai era semideserta. I sopravvissuti si fecero un tè. Io buttai giù l’ultimo.
“Più australiano degli australiani” mi disse Josh, uno dei fratelli di Carol.
“Ci puoi giurare”

 

BOXING DAY (SANTO STEFANO)

 

Per il “Boxing Day” ci alzammo tutti con un glorioso doposbronza. Solo i nonni sembravano in piena forma. I bambini saltavano e urlavano e si buttavano in piscina. Andai a sdraiarmi sotto il sole, sul tavolo del giardino.
“Ehi, ma tu sai che sei molto più vecchio di mia cugina Skye?” urlò uno dei bambini.
“Ehi, ma tu sai che potrei venire lì a prenderti a calci in culo?”
Sopra di me c’era una casetta per uccelli, e dentro due pappagalli che mangiavano. Erano rossi, di un rosso molto vivo, e verdi. Vedere quei colori mi diede la nausea. Pensai quasi di vomitare. Il Natale australiano era un’esperienza estrema.

Dopo un pranzo con gli avanzi del giorno prima, decidemmo di andare al mare.
Finimmo a Freshwater, a nord di Sydney. La spiaggia mi piaceva. Ero cresciuto vicino al mare, eppure l’oceano restava qualcosa di totalmente diverso. Valerio, Skye, i suoi fratelli ed io trovammo posto e piazzammo gli asciugamani. La sabbia era soffice e per niente calda.
“Beh, che aspetti? Andiamo!” disse Lucy a Valerio.
“Ok!”
Lei si lanciò in acqua senza esitazione. Lui si lanciò pure, poi un’onda lo sommerse. E un’altra. E un’altra ancora.
Cinque minuti dopo tornò alla sua asciugamano.
“Cazzo, mi sembra di avere bevuto mezzo oceano. Ma è sempre così?”
“Sempre”
“Troppo difficile fare il bagno nell’oceano”
E con queste sagge parole restammo lì a goderci il doposbronza al sole pensando, è il 26 dicembre e siamo al mare.
Poteva andare peggio.

 

Tratto dal romanzo “Latinoaustraliana” (Nativi Digitali Edizioni, 2015), disponibile in ogni store digitale, e in cartaceo anche su Amazon.

Marco Zangari © 2015
www.marcozangari.it
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