Lettera di un italiano in Australia: la storia di Mattia Pascà

(Questo monologo inedito è stato messo in scena il 3 novembre 2019 a Sydney, con musica di Marco Lucchi e lettura di Davide Schiappapietra: potete cliccare qui per il video.
Mattia Pascà è il protagonista di “Latinoaustraliana” (2015, Nativi Digitali Edizioni), il primo romanzo sulla cosiddetta “generazione Working-Holiday”. Potete trovare maggiori informazioni sul libro, e su dove acquistarlo (anche in Australia) cliccando qui).

 

Quando sono arrivato per la prima volta a Sydney, in una fredda sera d’agosto, ero tante cose: un italiano stanco, un siciliano ancora più stanco, un laureato fuoricorso, un lavoratore mancato, un cervello in fuga, un fegato in caduta libera, un quasi-trentenne, un pluri-ripetente della vita.
Ero anche un nome –Mattia Pascà– che veniva scandito per la prima volta –la prima di un’infinita serie di volte- con W inventate e K lanciate un po’ a caso.
Ero anche altra roba, accumulata nei miei venti e passa anni, ma non realizzavo che ero soprattutto un Working-Holiday.
Che era poi un modo cool e nuovo per dire che ero un emigrato.

La vita da emigrato non è male, all’inizio. In Italia gli emigrati ce li immaginiamo ancora in quei filmati in bianco e nero, con valigie di cartone e cappellaccio calcato sugli occhi. Tu invece te ne stai a Bondi, a farti mille selfie col cappello da Babbo Natale e il costume aggrappato ad una pelle ancora vergognosamente bianchiccia o già ustionata dal sole australiano –che conosce solo due gradazioni: rosso acceso e rosso porpora. Te ne stai sotto quel cielo azzurro e assurdo, ricordandoti ogni tanto che sei a testa in giù, in una sensazione che ti rimesta velocemente i noddles istantanei che hai nello stomaco –che, come scoprirai presto, sono l’equivalente aussie dei 4 salti in padella per gli universitari del Belpaese. Con la differenza che i noddles istantanei fanno sembrare i 4 salti in padella un capolavoro della gastronomia mondiale.

Da emigrato, all’inizio, hai la città ai tuoi piedi. Letteralmente, visto che non hai un soldo e quindi non puoi permetterti i trasporti pubblici di una città come Sydney, che sembrano venduti al chilometro. Nei primi giorni ti fai dei polpacci degni di un atleta olimpico, sudato e infreddolito grazie alla città dai mille climi durante la stessa giornata, ancora rincoglionito per il jet-lag e per la mancanza di sonno dovuto alle notti in quella meravigliosa camerata in cui, pur pagando quanto all’Hilton di un qualunque altro Paese, condividi l’aria con altre 25 persone –equamente distribuite tra russatori, ubriachi molesti e russatori ubriachi (e pertanto molesti).

Da emigrato, dopo i giri da turista, le foto sotto il ponte o davanti all’Opera House (che faranno credere ai tuoi amici in Italia che hai una vita glamour), cominci a fare i conti con l’Australia.
Fai i conti con le distanze, perche sai che c’è gente che ancora gira da anni dopo che l’aussie di turno gli ha detto: massì è qui vicino, proprio alla fine della strada…
Fai i conti con i gusti –e se la pizza con l’ananas è l’argomento di maggior discussione nei gruppi social degli italiani in Australia insieme al come fare per lasciare l’Australia senza pagare le multe, un motivo ci sarà pure.
Fai i conti con i bagagli: con quello che ti sei portato (che è sempre troppo e troppo poco, fuori stagione o mal organizzato) e con quello che hai lasciato. Soprattutto, con chi hai lasciato.
Fai i conti… e basta, perchè non importa quante ricerche tu abbia fatto prima di venire qui, non importa quante storie abbia ascoltato: no, anche tu, quando ti ritroverai a pagare 4 dollari per due schizzi di espresso che sanno di sciacquatura di piatti ed estratto di lettiera di gatto, anche tu proverai quella sensazione di vena che pulsa proprio sotto il collo.

All’inizio, da emigrato, è tutto nuovo e quindi bello, stimolante, avventuroso: i bagni nell’acqua ghiacciata dell’oceano e gli spaghetti in scatola, le serate alcoliche sulla baia e i coprifuoco di periferia alle 7 di sera, le guardie armate se butti una cicca per strada e i 7/11 da prendere d’assalto la notte se finisci le sigarette, le case tutte uguali e i panorami eccezionali, la scoperta che canguri e koala non vivono su George Street (forse per gli affitti cari) e la natura multi-etnica e multiculturale di questa città, i finti ristoranti italiani zozzi con errori pure nella grammatica del menù e quello superfigo che ti fa pagare 36 dollari per un piatto con dentro 3 gnocchi.
E poi gli australiani, che dio li benedica, che popolo meraviglioso. In qualunque stagione troverai sempre qualcuno in maglietta (ma con la sciarpa quando la temperatura scende sotto i 10 gradi) e qualcuno pronto a fare surf, aspettando per ore, sotto la pioggia o col vento, all’alba o al tramonto, un’onda che non esiste. Li troverai in file ordinate per salire e scendere sul treno, o a rischiare incidenti senza mai suonare il clacson perchè, signora mia, che caos questi aggeggi moderni. Li troverai irreprensibili, un po’ meccanici (qualche volta rigidi come una mutanda da backpacker al quinto giorno senza lavanderia), per poi ribeccarli tutti qualche ora dopo al pub, abbracciati e paonazzi, pronti a stringere amicizie per sempre mentre oscillano pericolosamente davanti agli orinatoi.
Poi ci sono i lavoretti casual, le ore infinite passate davanti a Gumtree o a scrivere fesserie su un curriculum in una lingua diversa dalla tua, fino a non capire più cosa è reale o cosa no. Che cosa sai fare, e cosa avresti sempre voluto fare. Per molti emigrati ci sarà sempre un garlic bread da portare al tavolo 15, a prescindere dal tuo background. L’emigrazione azzera tutto: qui siamo tutti uguali e non conta un cazzo nessuno.

Da emigrato, ti renderai conto che non tutte le emigrazioni sono uguali. Chi è venuto prima di te, avrà sempre un po’ più ragione. Prima era peggio, ti diranno. Adesso è una passeggiata.
Da emigrato imparerai ad arrangiarti, mentre tutti ti immaginano a fare la vita da ricco, tra una piscina e una cena sul mare.
Da emigrato farai ooh davanti ai fuochi di Capodanno della baia, ti ubriacherai con curiosità per una Melbourne Cup o un Anzac Day, ballerai finchè bastano i soldi tra il Cargo, l’Establishment e l’Ivy, farai viaggi in auto col braccio fuori dal finestrino, stupendoti delle bellezze di questa terra. Conoscerai gente da tutto il mondo, stringerai amicizie, farai l’amore, raccoglierai frutta, servirai ai tavoli, ti entusiasmerai per una giornata di sole piena di colore, ti perderai tra la folla del venerdì sera, avrai i tuoi posti, i tuoi rifugi, i tuoi punti fermi.
Da emigrato potrai anche avere una casa (se hai un polmone che ti avanza, potresti perfino comprarla). Potrai mettere su famiglia, con pazienza e sacrifici. Potrai ricominciare, nel Paese senza memoria.
Da emigrato incontrerai altri emigrati e capirai che quell’etichetta non basta a contenerci tutti. Sentirai storie diversissime tra loro, fatte di fortuna, di incidenti, di casualità o di perseveranza. Alcuni ti ispireranno, altri ti faranno incazzare. Ci saranno eroi e furbetti, combattenti e approfittatori.
Capirai che quando noi italiani ci mettiamo insieme per un obiettivo comune, possiamo essere tosti. Capirai che noi italiani, raramente ci mettiamo insieme.

Capirai anche che ci sarà tanta gente che non vorrà capire, che si farà bastare le foto di te al mare. Che non vorrà vedere le sfide, i dubbi, i giorni di fame e quelli senza sole. Non vedrà le notti passate a lavorare, le notti solitarie quando ti troverai lontano da tutto e tutti.
Pazienza. Chi ti vuol bene, capirà. Ma dal Paese che hai lasciato, che ricordi ancora con rimpianto, ti diranno che sei andato via perchè era più facile, per non lottare insieme agli altri per un futuro migliore. Sei andato via per soldi, per startene al mare. Per non volerti sacrificare.
Ti rimprovereranno una scelta che a volte nemmeno sei stato tu a fare, ma la disperazione. Ti faranno i conti in tasca, pronti a farti pesare ogni giornata di sole.
Non vedranno i tuoi addii all’aeroporto, quando il cuore sembra sempre restarti in mano, in coda davanti agli imbarchi. Non vedranno quegli viaggi infiniti, pronti a strapparti via ogni volta da tutto quello che per cui provi amore.
Non vedranno tutto quel che ti stai perdendo, tutti i matrimoni, i compleanni, le nascite e anche i lutti.
Non vedranno che, in tutti questi viaggi, ti stai perdendo un po’ anche tu. Che anno dopo anno, troverai gli amici cambiati, i genitori invecchiati. Che le telefonate ci saranno sempre, ma qualcosa per forza sta cambiando, e sta cambiando senza di te.
Che in quelle foto di gruppo mancherà sempre qualcuno, e quel qualcuno sei tu.
Che quel mondo che va avanti, non avrà più bisogno dei tuoi ritorni.

Non lo vedranno e forse non importa, perchè lo vedi tu. Perchè sai che da emigrato, hai almeno questo in comune con tutti gli altri emigrati: potrai comprare un appartamento, ma sarà molto difficile che diventi casa.
Eppure, anche quando sembrerà che tutti si siano dimenticati di te, qui dall’altra parte del mondo resterà qualcosa da ricordare.
Ci saranno i chilometri, le facce, le esperienze a ricordarti che, mentre la Storia con la S maiuscola va avanti, anche la tua sta continuando, a prescindere del dove.
Ci sarà quel senso di libertà a ricordarti che potrai lasciare un lavoro di merda se ti andrà, perchè se hai rotto le catene sotto casa vuol dire che non sei venuto qui per fare lo schiavo a nessuno.
Ci sarà chi ti ama, a ricordati che anche qui potrai provare a costruire una casa lontano da casa.
Ci sarà la tua faccia allo specchio, a ricordarti che non sei solo un emigrato. Che hai provato a correggere la fortuna. Che non hai mollato.
Che magari sei stato più felice altrove, ma non sei mai stato vivo come da quando sei qui.
Che hai altre cose di cui ricordarti ogni giorno, e da cui ripartire.

Io riparto dal mio nome, me lo ripeto allo specchio.
Mattia Pascà.
Tutto il resto, con calma, arriverà.

 

Marco Zangari © 2019 

 

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