Caro 2017, suca

 

Questo post sarebbe dovuto essere scritto di notte, e invece fuori è ancora giorno e io sono qui, davanti al condizionatore e con una birra gelata accanto.
Poco importa: questo post è nato comunque dalla notte. Dalle tante, lunghe, gelidi, insopportabili notti di questo lungo, gelido, insopportabile anno.

Magari per voi che leggete è andato alla grande. Magari si sono realizzate tutte quelle cazzate da oroscopo del primo dell’anno, dove si promettono soldi, amore, salute e tutto il carrozzone.
Anche fosse, sono sicuro che sapete di cosa sto parlando. Anche voi avete passato quei periodi lì. Quei periodi che la parola “scoramento” quasi vi viene alla bocca, istintiva e rabbiosa. Quei periodi dove un problema se ne chiama un altro e poi un altro ancora, come cannibali che si annusano la pelle sanguinante e si lanciano gli uni sugli altri, lasciando solo sangue e carcasse spezzate.
Quei periodi fatti solo di notte, anche quando là fuori è giorno.

Magari voi che leggete avete guai più grossi, più seri, di quelli senza vie d’uscita, e non sapete che farvene di un vendinuvole come me che si lamenta perchè ha avuto un anno di merda. Ci sta, eh?, e anzi me ne vergogno, quasi come l’ultimo dei blogger che crede che il centro del mondo sia nel suo ombelico (o peggio), e che sta male solo lui e tutti dovrebbero star lì ad ascoltare le sue lagne.
So bene cos’è il dolore vero, quello degli scantinati di cui si preferisce non parlare, e infatti il mio anno (e mezzo) è iniziato proprio da uno di essi. Quindi non ho perso del tutto il senso della misura.
Ma questo è uno sfogo, e allora sì, il senso della misura va necessariamente, per definizione, un po’ a puttane.
Se state male davvero, forse queste parole possono farvi compagnia o farvi incazzare. Accetto tutto, e poi vi aspetto tutti qui, con una birra in mano e una notte insieme da far passare.

Diciamolo allora: questo 2017 è stato una merda. Totale, al cubo. Un incubo lucido fatto di 365 schegge piantate sui miei coglioni.
Potreste dire: peggio del 2016? Sì (anche se pure quello non scherzava).
Potreste dire: meno del 2018? Me lo auguro, ovviamente, ma ho sempre spalle larghe e una cassa di doppio malto sotto il tavolo della cucina.
Tutto quello che posso dire è che, devastante per quanto è stato, non arriva minimamente al mio 2013 (a cui avevo dedicato qui un’altra lettera d’amore).
Perchè?
Perchè quell’anno sono quasi morto (letteralmente), e questo ci fa ritornare al discorso dei guai seri, quelli con la G maiuscola, davanti ai quali puoi solo abbassare lo sguardo e sentirti uno studentello lagnoso.
Quindi la vetta è inarrivabile, si capisce. Il 2017 ce l’ha messa tutta però, ed esce dal campo con una medaglia d’argento, a testa altissima.

Era Leopardi, che aveva scritto quel dialogo in cui due tizi discutevano sul fatto sul trascorrere degli anni? Uno dei due sosteneva che con la gente aveva bisogno di credere che con l’anno nuovo avrebbe cambiato vita, anche se poi restava tutto lo stesso. L’altro diceva che era tutta un’illusione patetica, e allora meglio non pensarci nemmeno a questa fesseria dei Capodanni, delle ricorrenze e dei buoni propositi.
Dato il tono allegro, mi sa proprio che era Leopardi. Non lo so bene, ai tempi della scuola non avevo tempo, dovevo prepararmi per questi splendidi anni a venire.
Adesso, a 38 anni, capisco tutti e due, e probabilmente è vero che è tutta una bugia che ci raccontiamo per farci contenti, per dare una scusa alla nostra vitaccia storta.
Però è anche vero che senza quella bugia, sarebbe tutto molto più difficile.

Non so quale bugia mi racconterò il 31 dicembre. Forse urlerò, come sogno da fare da troppo tempo –urlare fuori tutti gli scoramenti che ho accumulato in silenzio, sputare fuori tutta l’angoscia, la tristezza, tutti i casini, farlo con rabbia, con forza, invece di beccare tutto sottovoce e poi sorridere gentilmente.
Forse non mi dirò proprio niente, e lascerò che questi 12 mesi di notti fredde e senza uscita mi scivolino giù lungo la gola, e poi ancora più giù per la pisciata alcolica della mezzanotte, poi tirare l’acqua e non pensarci più.
Forse abbraccerò mia madre e ricomincerò da lì: da quello scantinato in cui ha cominciato a far notte per tutti.
Soprattutto per lei.

Ci sono state anche cose positive? Certo, per fortuna. Non era così scontato, ma ci sono state, e ne sono grato. Mi sono aggrappato ad ogni sorriso, ad ogni giorno di sole capitato per caso, ad ogni parola scritta nel cuore della notte, aspettando che arrivasse l’alba senza vederla mai.
C’è stato amore e orrore, botte e abbracci, urla e silenzi. C’è stato tanto, troppo, e ora che sto per entrare in questo 2018 strisciando sui gomiti, lo sento tutto.

La cosa positiva degli anni di merda è che finiscono. E’ finito il 2013, finirà anche questo diabolico 2017.
So che questo post è più serio del dovuto, che sarebbe stato meglio riderci sopra come sempre faccio.
Ma capitemi: sono stanco. E allora permettetemi di scriverlo così com’è, di dire che mi sono davvero rotto il cazzo.
Permettetemelo, e permettetevelo anche voi, che vi fa bene. Ci sta, ogni tanto ci sta.
Poi tornerò a sorridere, a fare il cazzone, a prendere tutto come il gigantesco scherzo che è.
Ma oggi fatemi scivolare quel vaffanculo tra le labbra, fatemi evaporare questo scoramento inzuppato di birra.
Oggi è così. Domani è già un anno nuovo, qualunque cosa voglia significare.
L’unica cosa che mi fa sorridere, ora come 4 anni fa, mentre stappo un’altra birra, è sempre quella: questo anno finirà, e io (se riesco a tirare per altri 24 giorni) sarò ancora vivo.
E allora anche a te, caro 2017, dico qualcosa di già detto ma che sento davvero: SUCA.
Ma di cuore.

Ciao ragazzi, grazie per la pazienza, gli abbracci, le birre e le pacche sulle spalle.
Ci si rivede nel 2018.

 

Marco Zangari © 2017 
www.marcozangari.it
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