“Vangelo Yankee” – Nicolo’ Gianelli

Eravamo cresciuti con i film americani, con i libri americani, con la cultura americana. Che tu lo voglia o no sei cresciuto qui, chiudi gli occhi e sei in America. La Ruote 66, Steinbeck e i viaggi sognando la California. Kerouac e le sue strade. I western, i fagioli nel deserto. Quante volte li avevamo già mangiati i fagioli nel deserto? L’America non è solo un continente. Non è la terra, le rocce, le spiagge, le sequoie. L’America è un immaginario collettivo, è un lungo sogno che ha attraversato le nostre vite.

C’è tutto: una colonna sonora cazzuta, una macchina che sembra una balena bianca, quattro amici storici, una sigaretta accesa e la Route 66 che si srotola sotto i pneumatici, conducendo alle tante stazioni di questa Via Crucis al contrario, un percorso forse di redenzione e forse no –ma di sicuro parecchio interessante.
E come ogni buon viaggio che si rispetti, comincia sempre dalla fine.
Vangelo Yankee” di Nicolo’ Gianelli, pubblicata dalla Roundmidnight Edizioni, segue un percorso a ritroso, con i capitoli che scandiscono un conto alla rovescia che riporterà il viaggio alle sue origini –e anche alle sue misteriose motivazioni. Ogni capitolo è dedicato ad uno Stato americano –o meglio, non lo è. Perché, proprio come recitano i vari titoli (“NON è California” e così via), l’America che Nicolò ci mostra non è l’America –più che altro, un incontro tra quel luogo ideale che noi tutti conosciamo perché ci siamo cresciuti, e un’America di fantasia, che è poi il forte di Nicolò (“Un luogo per esclusione, un posto dove l’immaginario ha capovolto la realtà”, come scrive verso la fine del romanzo). E così, tra una città e l’altra, i nostri quattro avranno a che fare con cactus pistoleri, Cadillac zombie e cartelloni stradali sbronzi. Non solo: saranno loro i veri protagonisti di ogni capitolo del libro, intrecciando le loro incredibili storie tra loro, relegando i quattro ad essere testimoni –quasi fossero il pubblico per dei raccontastorie. Perché “Vangelo Yankee”, più che un diario di viaggio o un romanzo on the road, è una storia, formata a sua volta da tante storie, di quelle che vengono tramandate nei saloon di fronte ad un bicchiere o davanti ad un fuoco nel deserto. Ogni storia ha una sua morale, un suo colore, fa ridere o fa riflettere, e alla fine ti lascia dentro bicchieri vuoti e polvere di deserto. Ogni storia contiene una parte di questo Vangelo, una ricerca di senso tra la vita e la morte; il protagonista afferma: “Invidiavo quella gente, volevo credere come loro. Proiettare tutto il mio futuro prima e dopo la morte in un contesto in cui io non avevo alcun peso. Lasciar decidere Dio, affidarmi al suo volere, credere che lui e solo lui potesse avere un’influenza sulle cose. Non volevo decidere, volevo che altri lo facessero per me. Altri che la sapevano lunga, gente competente. E non riuscivo a immaginare nessuno più competente di Dio.”.
Per scoprire come va a finire questa ricerca, l’unico modo è montare sulla Balena Bianca e percorrere questi chilometri infiniti, condensati molto abilmente in un libro che scorre più veloce di qualsiasi Cadillac, e che vorrete finire tutto d’un fiato.
Da parte mia, posso dire che ho letto tanti libri con queste ambientazioni e con l’idea del viaggio coast-to-coast (che è sempre stato uno dei miei sogni kerouakiani mai realizzati), ma raramente con la potenza, la bravura e il fascino di questo “Vangelo Yankee”. Nicolò sapeva usare le sue parole, intrigando, stupendoti col candore prima di farti ubriacare così tanto da farti correre dentro il giardino della White House. Aveva un’abilità che non si riscontra (più) così spesso negli scrittori, giovani o esperti che siano: sapeva come raccontare una storia, al punto da creare un libro quasi tridimensionale, che puoi guardare da diverse angolazioni, rileggere più volte, e trovarci sempre qualcosa di nuovo –e qualcosa che ti arricchisce.
Parlo al passato perché “Vangelo Yankee” è, purtroppo, un libro postumo. La scelta di Nicolò rimanda, in maniera estrema, la potenza e la sincerità dietro i quesiti che le sue storie ponevano. La lettera finale, in appendice al libro, dei genitori di Nicolò e di una sua amica, sono strazianti e piene di amore, e in qualche modo completano questoviaggio emozionale che finisce per accompagnarti a lungo. La morte, come realtà ultima che irrompe nel perfetto viaggio di fantasia creato da Nicolò, non lo distrugge –semmai sembra risaltare ogni pagina, rendendo la bellezza ancora più struggente, e la desolazione ancora più disperata.
Nicolò era uno scrittore completo, una voce nuova e bella. Per tutto questo, per molto altro, leggere “Vangelo Yankee” è un’esperienza che dovete fare, e di cui non vi pentirete nemmeno per un attimo.
Buon viaggio.

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