Sabato notte e poco sonno

 

una fatica unica
un tormento
uno sforzo grottesco
teso a un cielo
dipinto su un muro
-la tua faccia di
sabato sera
è più triste e fasulla
di qualunque altro
giorno

e adesso è finita
è notte –serpenti e vermi
in quantità
su pareti e sonni
tutto il vuoto delle
strade
tutta la fine
in ogni cosa
nei tetti sul mare
nelle giostre ferme
negli alberi morti
nel panorama depredato
di tutte le sicurezze
del mattino

e i balconi, il silenzio
i panni stesi ad asciugare
e ancora bagnati

nel gorgoglìo segreto
putrescente
della notte
ormai malata di alba
estirpo come tanti cancri
ricordi troppo freschi
per essere già
liquefatti
-le orecchie mi risuonano
del tizio ubriaco
che volevo stendere
di quelle meraviglie
per niente
delle risate finte, della
gioia mimata, di tutto
quel che
mi uccideva

tutti quegli sforzi
da mascelle slogate, quelle cazzate
pose da duro e
spettatori mediocri
quell’arrancare in
eterna salita
sempre un po’ più
stanco degli altri
quel cercarti, piccolo
e deluso, quel
prestarti me
quando non sai nemmeno
cos’hai davanti

né lo vuoi sapere
e ordini un altro po’
d’indifferenza
con ghiaccio
un ritirarti furbo –solo
per te
facendo gli occhi dolci
al cameriere
mentre io sto lì
senza prenotazioni
senza più voglia
senza delirio di menzogna
sto lì, a
metà
della salita
stremato
e tu, con la tua
storia facile
eri già scesa
più in basso

non mi resta che
tirare il collo al
gallo
e fingere ancora
di godermi
un buon sonno.

Marco Zangari © 2000-2007

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