L’avversario, di Emanuele Carrère

Ricalcando i suoi passi provavo pietà, una straziante simpatia per quell’uomo che aveva errato senza meta, anno dopo anno, chiuso nel suo assurdo segreto, un segreto che non poteva confidare a nessuno e che nessuno doveva conoscere, pena la morte. Poi pensavo ai bambini, alle fotografie dei loro corpi scattate all’Istituto di medicina legale: orrore allo stato puro, un orrore tale da costringerti a chiudere gli occhi, a scuotere il capo la realtà. 

Avevo sentito parlare di Carrère e avevo sentito parlare di questo suo romanzo, “L’avversario” (Adelphi), diventato ormai un best-seller fin dalla sua uscita nel 2000. Quello che non sapevo era che il libro partiva da un fatto di cronaca di cui avevo sentito parlare, tanto tempo fa, e che mi era rimasto impresso per qualche motivo.
Il libro si apre con l’incendio della casa di Jean-Claude Romand. Dall’incendio, i pompieri estraggono le salme della moglie e dei due figli di Jean-Claude, insieme allo stesso Jean-Claude che però respira ancora. Romand viene quindi portato d’urgenza in ospedale.
Sembrerebbe un normale, seppur tragico, incidente, se non fosse che la polizia nota qualcosa di strano nei cadaveri. Viene stabilito, infatti, che moglie e figli di Romand erano già morti prima dell’incendio.
Mentre Romand è ancora incosciente, si cerca di avvisare qualcuno. I genitori non rispondono, allora si pensa di chiamare la sede dell’OMS di Ginevra, dove Jean-Claude lavora da anni ed è stimato e rispettato da tutti.
Peccato che all’OMS nessuno abbia mai sentito parlare di Jean-Claude Romand.
Quando i genitori di Romand vengono ritrovati morti in casa, uccisi da un colpo di fucile, gli inquirenti si trovano a dover cambiare bruscamente sentiero per poter arrivare alla verità.
E sarà una di quelle difficili da accettare.

Carrère, che alla vicenda si era già ispirato per un altro suo best-seller, “La settimana bianca”, comincia ad intrattenere una relazione epistolare con Romand, rinchiuso in carcere. Ricostruendo la storia di Romand, Carrère prende per mano il lettore e lo guida attraverso la ricostruzione della vicenda, a partire da Romand che si risveglia in ospedale, e si trova sbattuta in faccia la verità che aveva provato a seppellire per tutta la vita, e che aveva sostituito con una serie di complesse, colossali, fortunate bugie. Di quelle talmente grosse che non sarebbero assolutamente accettabili, in un noir d’invenzione.
Carrère sceglie apposta di partire descrivendo il punto di vista di Luc, uno degli amici più cari di Romand. Distrutto per le perdite dell’amico, da un giorno all’altro si trova a dover affrontare il fatto che l’amico che conosceva, non era assolutamente chi pensava. Lo stimato dottore, l’uomo con la testa sulle spalle, la persona di successo: niente di tutto questo era reale.
Romand ha mentito a tutti, su tutto, e per un tempo che sembra incredibile da credere. E quando la sua menzogna ha cominciato, inevitabilmente, ad imbarcare acqua, la sua reazione è stata disastrosa.

“L’avversario” è scritto bene, ha un passo rapido ed è ben narrato. Carrère evita ogni sensazionalismo, ogni morbosità. Ha delle ovvie reticenze ad avvicinarsi ad una storia così inquietante, e lotta per decidere che punto di vista adottare: quello di Romand? Quello delle vittime?
Alla fine decide di mantenere la sua prospettiva, che sa bene non essere neutrale, ma è l’unica disponibile, e l’unica onesta.
Non era facile raccontare questa storia, ma Carrère ci riesce, e anche discretamente.
Il romanzo, va detto, è uno di quelli che resterà con voi per molto tempo. Personalmente non sono mai stato un amante della cronaca, ma “L’avversario” va ben al di là della tragedia finale. Racconta di un mondo ovattato e superficiale, che un giorno si ritrova denudato e senza risposte. Racconta di rapporti che diamo per scontati. Racconta di interrogativi che restano sospesi, come quello più importante –dal punto di vista clinico, certo, ma anche più ampio: perché Romand ha iniziato a mentire? Perché ha preso la rincorsa per quella strada senza ritorno?
“L’avversario” mi ha lasciato un senso di gelo di neve, un lieve squallore addosso, ma l’ho trovato anche un libro potente, incredibilmente leggibile, tanto da sembrare quasi un thriller, ma uno di quelli dove vi ponete domande. Domande che potrebbero cambiare il mondo con cui guardate alla realtà che vi circonda.

Marco Zangari © 2015
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