La notte in cui cominciammo a perdere

(Questo articolo era stato scritto in origine per il ventennale, nel 2012, e pubblicato su Hotel Morgana)

 

Mercoledì saranno trascorsi 20 anni esatti dall’attentato a Giovanni Falcone e la sua scorta. Sono sicuro che per il ventennale tutti tireranno fuori i fazzoletti e qualche frase retorica, un piccolo ricordo, una banalità loffia e due e tre promesse che si perderanno nel vuoto dei prossimi 20 anni.
Immagino che le foto di Falcone siano dappertutto, trasformate in gadget e magliette e foto ricordo –che suonano un po’ strane, visto che a noi italiani non piace ricordare. O meglio, ci piace ricordare a modo nostro.
Non sono un fan degli anniversari. Primo, non me li ricordo mai, e secondo, non ho ancora ben capito a cosa servano. Eppure questo ventennale mi da un’idea atroce e potente del tempo che è passato, non so bene come mai. Forse perchè, nel caso di Falcone, ti rendi conto di quanto tempo può passare senza che niente cambi davvero. Di come te lo possano cambiare quel tempo, come te lo possano deviare.
Come te lo possano rubare, e tu che ancora cerchi di capire come abbiano fatto.

Potevano essere diversi questi 20 anni.
20 anni fa ero nella mia stanzetta di Big Sur, calda serata di maggio. Appena 12enne, Falcone era solo uno dei tanti nomi che senti al telegiornale tra un pasto e l’altro. Poi quel giorno i telegiornali impazzirono e quel nome venne ripetuto mille volte.
Io ne sapevo poco, dico la verità. Sapevo quello che dovevo sapere, e tanto mi bastava. Mi chiedo quanti siano rimasti così, in questi 20 anni.

Ricordo una cosa di quella sera, una sensazione molto vaga: quella di fare parte, per la prima volta, di un’isola piena di ombre. Il sole lo vedevamo tutti, ogni giorno –e quel 23 maggio sembrava già estate. Ma delle ombre non sapevo che quello che vedevo in tv. Poi la tv si era aperta ed era diventata la nostra realtà, squarciata dal tritolo, dai commenti, dai pianti in diretta, dalle edizioni straordinarie.

Bene, ho pensato, ci siamo tutti su questa barca. Non è solo un tizio lontano saltato per aria. Questa cosa, lo sentivo, ci riguardava tutti, in qualche modo che non riguardava solo il ’92 o la lotta alla mafia. C’era di mezzo l’Isola che ride e uccide, che ti fa innamorare ma non perdona. Di qualcosa di pulito, che ormai non lo era più.
Qualcosa cominciava a finire, quella sera. Nell’aria la minaccia era che l’avremmo pagata cara per quello che era successo. Avremmo smesso di sentirci così fortunati, così immortali. Qualcuno avrebbe sempre messo un ostacolo ai nostri sogni. O con noi o contro di noi, ci dicevano quella sera.

I conti sarebbero arrivati, in quell’Isola dalla quale a volte si deve partire, senza poi essere così sicuri che esista un posto al quale tornare. Quei conti li avrebbero pagati sempre quelli sbagliati.
Gli altri sono rimasti esattamente dov’erano 20 anni fa.
Da quella sera avremmo continuato a provare e a farci il culo per questa terra perchè qualcosa ci univa, come un trauma in comune che non avremmo mai superato.
C’erano delle lezioni, in quello che era successo quella sera, ma nessuno di noi aveva voglia di imparare.
Il tempo, poi, ci avrebbe bocciato in tanti.
E non parlo solo di bombe, di morti: parlo di tutto quello che ci siamo lasciati fare, in nome di una cultura, di una mentalità, di un silenzio che non sono mai stati i nostri, ma che abbiamo ingoiato e poi ci siamo fatti una granita che ne lavasse via il sapore.

Ci siamo sempre vantati di essere diversi da tutti, di essere speciali, di vivere tra la Bellezza. Abbiamo pure chiuso il cratere a Capaci e ci abbiamo messo sopra una bella targa, per dimenticare più in fretta.
Come se niente fosse mai successo.
Come se niente succedesse mai.

Al ventennale diranno tante cose, perlopiù vuote e stupide, ma non diranno quello che noi sentiamo da allora: e cioè che quella bomba non ha mai smesso di fare rumore, nelle nostre orecchie.
C’era della speranza che finiva, quella sera di maggio.
Pochi mesi dopo toccò a Borsellino.
Ma questa, come si dice, è un’altra storia.

 

Marco Zangari © 2012
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