Di bellezza, chitarre ed estati al mare: (nuova) lettera a S.

 

Caro S.,

Tutto è cominciato con “Creuza de ma”. Ero bloccato nel traffico isterico della mattina, che è uguale in tutto il mondo, anche qui che è giorno mentre da voi si va a dormire.
La canzone è partita e io mi sono fermato ad ascoltarla, e mentre l’ascoltavo pensavo: questa è poesia, e lo è per un motivo preciso. Perché riesce a farti avere nostalgia di un posto dove non sei mai stato.
Una volta finita la canzone, ho deciso di mettere “Monti di Mola”. Stessi brividi, ricordi simili. E allora mi è venuta la nostalgia per un posto dove sono stato. Dove siamo stati tutti e due.
Te la ricordi Liuzzo d’estate? Certo. La odiavamo e ci tornavamo sempre. Era la donna che comprendeva tutte le nostre donne.
Era inquinata, sporca, noiosa. Era stata depredata e poi lasciata lì come un imbarazzo. Per la maggior parte delle persone, sembrava solo un punto da superare velocemente lungo la statale, e dimentarsene subito.
Ma aveva il fascino decadente di qualcosa che era stato bello un tempo, o che sarebbe potuto tornare ad esserlo con poco.
Ecco perché assomigliava alle nostre vite di allora.

Ma già allora avevamo vite diverse, che col tempo avrebbe preso strade diverse, sia per latitudine che per scelte. A quel tempo, però, non era importante la strada. Avevamo messo le quattro frecce e ci eravamo messi ad aspettare –cosa, non so di preciso. Un temporale, un incidente, un passaggio benevolo e inaspettato.
Ma non succedeva mai niente.
Noi allora ci cantavamo sopra. Tu e la tua chitarra, io e la mia voce –e non so quale delle due fosse più scordata. Erano le nostre session, era la nostra pausa a fianco dell’autostrada. Le macchine ci sfrecciavano accanto e noi ci sedevamo davanti ad un canzoniere, due birre aperte ed un posacenere che presto sarebbe stato stracolmo.
Non eravamo granchè e facevamo sempre le stesse canzoni, è vero. Ma quando le cantavamo, c’eravamo in ogni singola nota. Momenti sul palco che nessuno potrà mai capire.
Il sole si alzava maestoso su quella Liuzzo alla deriva, il nostro detestato bucodiculo in riva al mare, e in quel momento cancellava cartacce, baracche e notti insonni. Dal terrazzino di casa tua vedevamo un cielo che sembrava quasi inghiottirci, in quel blu che era troppo da reggere tutto insieme. Specie se in sottofondo c’era “A cimma”. La luce inondava le strade e faceva brillare il mare come la tentazione di un’altra vita.

Ci inventavamo session ovunque. Scomode, sudate. Ci mettevamo in spiaggia di giorno, con la sabbia che cercava di inghiottirsi canzonieri e plettri, e anche di notte, con torce e sigarette. Ce ne sono state alcune, più di altre. Lo so, lo sai.
Non ti ho mai detto che qualche volta ho cantato col groppo in gola, e forse tu hai fatto lo stesso. Non ce lo siamo detto perché a quei tempi sarebbero stati schiaffoni –eravamo cazzoni, duri&puri fino in fondo a quelle notti senza fine. Ora però possiamo dircelo. Forse era la nostra vita, o il vuoto che quel cielo troppo blu scavava sotto le nostre occhiaie e al centro del nostro petto. Forse erano le birre e le sigarette di quei pomeriggi nel terrazzino, ore che strappavamo al dio dell’estate che ci obbligava a spiaggia&sole&allegria, e noi aprivamo una lattina e accendevamo un’altra Lucky Strike lontano da tutti.
Forse erano le parole e la musica, che in quel momento erano nostri pur se non lo erano.
Ma se qualcuno ci ha mai ascoltati, anche di nascosto, e ha ascoltato le voci stonate e gli accordi che saltavano, vorrei che ricordasse questo: che c’era bellezza, lì, in quel preciso momento.
Non so di che tipo, ma c’era.
La nostalgia di un posto in cui sei stato, senza sapere nemmeno di esserci stato.

Ho visto la foto di tua moglie, l’altro giorno. Ho visto quel pancione che tra un paio di mesi si trasformerà in seccature e gioia, notti in bianco e commozione –e ci ho rivisto bellezza. Quella bellezza che ci siamo sudati, in luoghi brutti, in momenti brutti, e che per questa è solo nostra.
La bellezza di essere passati attraverso una guerra e aver portato con noi alcuni lembi di quel cielo troppo blu, che sarà per sempre, in qualche modo, solo nostro.
E adesso mettiti comodo, fai partire “Anime salve” e aspetta.
C’è altra bellezza.
C’è ancora tempo per quella maledetta alba.
Suona un altro pezzo, zio. Io vado a prendere due birre in frigo.
Arrivo subito.
Più o meno.

 

Marco Zangari © 2016
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