“Breve storia della morte” – William M. Spellman

 

Che grandi ragioni tu hai, o mortale, di lasciarti così andare
a lamenti penosi? Perché piangi e lamenti la morte?
Se ti è stata gradita la vita trascorsa prima di adesso,
… perché non ti allontani, come un convitato sazio di vita,
e accetti nell’animo, o stolto, una quiete senza più ansie?

Lucrezio

Tante cose sono cambiate negli ultimi anni della mia vita (e se seguite il Morgana, ne sapete qualcosa). Per esempio, per una serie di fatti più o meno simpatici, qualche domanda su cosa c’è dopo me lo sono chiesto. Non che prima (per me c’è ormai un prima o un dopo) non me lo fossi mai domandato, ma poi finiva come probabilmente finisce con molti di voi: evitavo di rispondermi. Nessuno vuole pensarci a queste cose, giusto? Probabilmente perché non pensarci allontana automaticamente la possibilità di morire (che comunque, dentro di noi, consideriamo ancora parecchio remota). Non esiste tabù più grande, argomento più sconveniente.
Forse uno deve sbatterci la faccia, come è successo a me, per capire che, nonostante illusioni e scaramanzie, la morte esiste e anzi, seguendo il motto popolare, è probabilmente l’unica certezza dell’esistenza insieme alle tasse.
Ne parlo ogni tanto insieme a N., un’altra che se l’è trovata davanti un bel (!) giorno, e che ora non ha paura di discuterne.
Perché in fondo non siamo i primi e nemmeno gli ultimi. Laddove ci hanno costretto le contingenze della vita, sappiamo che filosofi, profeti, poeti si sono interrogati sulla morte dall’inizio dei tempi –probabilmente da quando l’uomo si è reso conto che esisteva una fine ai suoi giorni.
Per questo motivo mi ha attirato questo “Breve storia della morte” (Bollati Boringhieri) di William M. Spellman, docente americano di Storia. “Breve storia” è, appunto, una sorta di trattato “in pillole” sulle interpretazioni che gli uomini hanno dato alla morte e all’aldilà nel corso dei secoli. Il libro si divide in due parti: un excursus storico sul tema della morte nella prima parte, mentre nella seconda si affrontano temi specifici, dall’eutanasia al suicidio, relativamente ai nostri tempi.
Spellman utilizza un linguaggio divulgativo, semplice e scorrevole, considerando anche la tematica e la mole di materiale da inserire. Ho trovato la parte “attuale” più debole rispetto alla prima, se non altro perché parla di temi che una persona normalmente informata dovrebbe conoscere (e quindi quelli del Family Day resteranno a bocca aperta).
L’analisi dell’approccio delle diverse religioni alla morte è semplice ma efficace, e rimanda sempre al solito punto: se Dio non ci fosse, gli uomini continuerebbero ad inventarlo. Attraverso le parole di intellettuali e santi si può sentire la disperazione e confusione che un tale limite pone alla nostra esistenza. Nella mia opinione, ciò riguarda probabilmente, più che la realtà biologica (il corpo che cessa di esistere), il modo in cui ci rapportiamo a questa fine –e di conseguenza, la corsa al riempire di significati e cose (soprattutto cose) il nostro tempo su questa terra. Di fronte al vuoto assoluto, l’uomo ha cercato di trovare un senso –e non trovandolo, lo ha sostituito con costruzioni, con ideali, con speranze. Chi aveva il Regno dei Cieli, chi la liberazione finale invocata da Schopenhauer: chi invece, comePascal, pensava che ciascuno è un “nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla”.
Il tema è ovviamente troppo vasto per essere trattato in una recensione. Personalmente, gli epicurei avevano un buon punto quando sostenevano che “quando noi siamo, non c’è la morte, e quando c’è la morte, noi allora non ci siamo. Per modo che essa non riguarda né i vivi né i morti: per gli uni non c’è, e gli altri non sono più”.
Poi ovviamente ci sono tanti modi di fregare la morte –almeno temporaneamente.
Ma questo voi lo sapete già, no?
Se il tema vi interessa, “Breve storia” può essere un buon punto di partenza per qualche riflessione. Non troverete niente di rivoluzionario o nuovo, ma è un’ottima lettura lo stesso, e lo consiglio senz’altro.

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