Seduto nel balcone

 

Sto seduto nel balcone, per terra, le gambe appena lavate che aderiscono alle piastrelle, vento caldo di giugno.
Penso a quando sono nato. Mentre abbandonavo quel posto, senza sapere, pronto a caricarmi fatture e conti di altri, una chiazza di grigio si formava sul soffitto della sala operatoria e poi silenziosamente usciva dalla finestra.
Quella chiazza di grigio, poi diventata nuvoletta, poi nuvola. Spesso, uragano. Mi sono portato dietro monsoni e burrasche. Forse per questo i giorni di sole erano rari, e molto apprezzati.
Sto seduto sul balcone a leggere scrittori e storie di cui non m’importa niente, solo un altro modo per sprecare del tempo, per morire in compagnia.
La nuvola mi ha seguito in tutti gli spostamenti, nei viaggi brevi e in quelli lunghi, nei giorni quando gli altri andavano al mare, nelle notti in cui cercavo di vedere qualche stella.
Sto seduto nel balcone, accarezzandomi capelli lunghi e qualcuno di essi bianco, e penso a facce lontane, a tempeste lontane, a speranze infinite che quelle tempeste passino.
Ma a volte ci mettono un po’ a finire.
La nuvola assumeva forme diverse, diventando a volte quasi bianca, facendosi ispirazione, ansia da raccontastorie, entusiasmo nell’avere un percorso e qualcosa da dire, la fugace gioia di un’altra storia al pub, di un’altra birra, di un piccolo momento senza nuvole nere o grigie.
Sto seduto nel balcone e aspetto amici, loro verranno qui e mi porteranno qualcosa anche solo sedendosi con me nel balcone, e usciranno di qui reggendo un pezzo di questa nuvola, e io la loro. E a tutto questo daremo nome di una strana forma di amore e calore.
La nuvola a volta aderiva ai muri della stanza e allora cancellava le parole, i cosa farò da grande, disdiceva appuntamenti per me importanti, staccava il telefono, si metteva tra me e tutto il resto, e nella foschia camminavo con le braccia in avanti finchè non mi perdevo completamente. Allora cominciava a piovere.
Sto seduto nel balcone, nel posto dove una volta c’era la lettiera del gatto e dove ora ci sono io, con la mia testa, dei pensieri da gennaio, del sonno arretrato e la consapevolezza che nessuno, vicino o lontano, potrà davvero dire o fare qualcosa che mi faccia rialzare, perchè oltre la ringhiera vedo quella nuvola che si rifà tempesta, le prime gocce si vengono a confondere sul mio viso, io non rientro e resto lì, seduto, a bermi la mia pioggia.

 

Marco Zangari © 2011

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